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QUI CI SONO LE TIFOSE

Revista Túnel, Agosto 2022

Il racconto può sembrare più o meno conosciuto. Un gruppo di donne tifose della Academia hanno sentito la necessità di aprire nuovi spazi, da un lato per organizzarsi, dall’altro per creare nuovi vincoli azioni nel club dei suoi amori. Tutte tifose, tutte socie, tutte insieme: Rossana Echeverry, Valentina Varela, Daniela Centena, Camila Testón e Mariana Voetter.

Si riuniscono di sera, nella sede buia del Racing Club de Montevideo, in Calle Millán, nella zona che si estende al lato del Estadio Parque Osvaldo Roberto. Insistono, bussano alle porte, organizzano eventi, anche quando la partecipazione o l’adesione è messa in discussione. Sono le due facce della stessa medaglia del Racing: il club di quartiere, quello di sempre che è pure una “società sportiva anonima” (SAD) dal 2021, che separa questo mondo tangibile e legato al territorio, di storia, quartiere ed erba con un business sportivo che cerca guadagni e professionisti, come sinonimo di investimenti. All’incrocio di queste strade, nasce  la Comisión de Género y Diversidades di Racing.

La sede di Calle Millán è in penombra. Si vedono lavori nel territorio in cui convivono il Parque Roberto e la sede sociale del Racing che avendo una facciata dipinta di bianco, si lascia intravedere appena dalla luce gialla del viale. Forse una delle particolarità che risalta in questa commissione è che è nata in un club con un patrimonio diviso. L’attuale presidente è Washington Lizandro e la SAD è diretta da Fernando Cavenaghi, ex attaccante del River Plate. L’assemblea della squadra, che ha avuto luogo nel febbraio 2021 allo Stadio Centenario, ha approvato con 84 sì e 79 no la trasformazione del “vecchio” Racing in una SAD. Nonostante questa forma di gestione e organizzazione anche politica del club non è nuova nel mondo, a partire dal 1990 in Europa e in Spagna, in Uruguay è sbarcata nel 2009, come succede con alcune idee importate dal nord. La prima società che si è costituita come SAD è stato nel 2009 il Deportivo Maldonado.

Con questo sistema si crea un ente di diritto civile che trasferisce alla SAS “patrimonio sportivo” che include i diritti di affiliazione sui giocatori e giocatrici, i diritti televisivi ed economici sui trasferimenti, ma non i beni patrimoniali come la sede sociale e lo stadio. Secondo quanto affermato da Cavenaghi e da vari media uruguaiani, il contratto della SAD è della durata di 45 anni, rinnovabile ogni dieci anni. Il Racing che il 6 aprile 2022 ha festeggiato i suoi 103 anni, è arrivato nei primi posti della classifica di seconda divisione con un obiettivo chiaro: essere promossi.

Nonostante la commissione si sia formata ufficialmente a maggio, sta lavorando dal 2020. Gli ultimi membri sono entrati nel 2022 e secondo quanto dicono loro stesse, è sempre aperta a continuare ad accogliere persone che vogliano contribuire.

«Ho sempre partecipato alla parte che riguarda la socialità, agli eventi – racconta Rossana Echeverry che è al terzo tentativo di creazione della commissione all’interno del club – Si sta lavorando da tempo. Sono tifosa da molti anni, da quando ne avevo quindici e ora sono vicina ai cinquanta».

Valentina Varela, 17 anni, è il membro più giovane, è arrivata alla commissione perché sua madre Daniela, che pure lei ne fa parte, glielo disse «Mi ha catturato. Mi piace l’idea che noi tifose che viviamo esperienze fuori dal campo possiamo partecipare e aiutare soprattutto il calcio femminile».

Daniela Centena, 45 anni, è tifosa del Racing da sempre. «I miei genitori erano tifosi e io ho ereditato questa passione. All’inizio eravamo tutti soci, ci siamo arrabbiati con la dirigenza quando la squadra è retrocessa e non eravamo d’accordo in generale sull’idea sportiva. Non abbiamo rinnovato la tessera di socio, ma non abbiamo smesso di andare alle partite. Non avevamo mai partecipato alla parte sociale e scoprendo questa commissione ci è interessata la tipologia e il tipo di lavoro. Abbiamo contattato Cami e ci siamo uniti per le celebrazioni del Dia de la Madre. Siamo tornati a essere soci (ride). Sono contenta di condividere questo con Valentina, perché condividiamo la passione».

Camila Testón ha 23 anni ed è la componente più “anziana”. «Perché sono tifosa? La storia è lunga – racconta – I miei genitori si erano separati e mia madre veniva a Sayago, perché lavorava per la famiglia Moro. In quel momento Enrique Moro era il presidente del Club Sayago. In quella casa tutti sono malati di Racing e per tutto il tempo si parlava di questo. Un giorno stavo camminando con mio papà a Millán e chiesi a mio padre perché c’era tanta gente vestita di verde e bianco e mi ha detto che era perché venivano a vedere il club del quartiere. Era così tanta la curiosità che un giorno sono andata a una partita del Sayago e poi a vedere il Racing. Dopo c’era il gruppo di murga (una forma di danza e teatro di derivazione spagnola n.d.T) Contrafarsa e noi piace il Carnevale ed è rimasto come qualcosa di collegato: Racing, Sayago e Contrafarsa. Nel 2016 ho iniziato a far parte del movimento studentesco del Liceo 26 e ho conosciuto un compagno di classe che usava sempre la maglietta del Racing. Abbiamo iniziato ad andare al campo insieme e fino a oggi “Racing, Racing, Racing”. C’è qualcosa che non si può spiegare. Direbbe mia madre. “Tu devi essere stata tifosa del Racing in un’altra vita”, perché il Racing fa parte della mia quotidianità».

Per provare a spiegare cosa significa questa ripetizione del nome del club nella sua vita  Camila commenta «Mi alzo ed è Racing. Ho bisogno di sapere quando c’è la prossima partita e di prendere il biglietto. La stessa succede con le attività del club. Il giorno in cui il Racing è retrocesso, sono stata quindici giorni ricoverata, perché mi si era abbassata la frequenza cardiaca, stando al campo. È anche la mia salvezza. Sono stata molto tempo in ospedale e sapere che avrei visto il Racing mi faceva bene».

Maria Voetter, 34 anni, si presenta come il membro più timido. Quando prende la parola dice. «Sono nella commissione dal 2020, dopo le elezioni. Prima nella Comisión Social e dopo in quella de Género. Sono di Pando. Mio padre e mio nonno sono nati a Sayago. Mio padre è diventato tifoso e ho cominciato ad andare allo stadio con lui nel 2008. È iniziato come un’abitudine e ora tutto è Racing. Dove vedo verde e bianco, è Racing».

Gli inizi

Per sapere come si è formata la commissione, tutti chiedono a Camila. Lei si prende il tempo per spiegare il processo. «Nel 2018, nella dirigenza precedente presieduta da Nicolás  Núñez, è stata presentata l’idea della creazione della Commissione di Genere. Christian Marino che ha sempre gestito le reti del Racing ed è sempre stato criticato, perché la Marcia per la Diversità o il 20 maggio si facevano dei post, veniva aggredito costantemente. Con il passare del tempo è diventato più frequente e ci si abituò all’idea che in quei giorni il Racing avrebbe pubblicato qualcosa. Christian propose la creazione di una commissione a un gruppo di tifosi che risposero che quando sarebbe nata avrebbe dovuto essere formata dalle donne della dirigenza, che sapevano ben poco. Al termine di questo mandato della dirigenza, il club venne veduto alla SAD e iniziammo a preparare le prossime elezioni. 

Nacque un gruppo chiamato Williams Lucas [Lista 11], come un ex presidente del Racing. È stato presentato un progetto, scritto da me, per creare la Comisión de Género. Ci dissero di sì. In tutti i club le commissioni sono qualcosa a parte e non sempre c’è spazio. Così ho continuato a tifare fino a che non si è realizzato una cosiddetta “chiamata formale” per far parte della commissione. Prima c’erano gruppi isolati, facevamo laboratori e avevamo alcune inquietudini. Finimmo per essere più membri e cominciammo con le attività. In questo momento videro che avevamo intenzione di lavorare. È un’insistenza permanente».

I membri della commissione si rendono conto di questo atteggiamento di insistenza costante nelle sue proposte. Riconoscono che, oltre al lavoro concreto nel portare avanti un progetto, c’era un’azione politica che implica il conversare, lo spiegare, il condividere con altri e altri suoi obiettivi. Molte volte si trovano con persone simili e molte altre vivono situazioni sgradevoli di rifiuto.

«Quando c’è stato il compleanno del club, ad aprile, previa ufficializzazione della commissione, avvisammo che avremmo creato un “punto viola” come spazio di sensibilizzazione sulla violenza di genere e iniziò a contribuire gente. Abbiamo avuto tre incontri tempestivi con persone che dichiararono di essere vittime e le indirizzammo affinché fossero assistite nella Comuna Mujer de la Intendencia de Montevideo. L’anno passato avevamo organizzato un laboratorio sulla virilità con la rosa della prima squadra e un’attività chiamata Llamale H [Festival Internazionale del Cinema sulla Diversità Sessuale e di Genere in Uruguay] con i ragazzi e le ragazze delle giovanili. Abbiamo sempre avuto tantissimo rimando. Chiedemmo alla Commissione Direttiva che venisse ufficializzata negli atti la creazione della commissione, quest’anno, poco fa, è stata formalmente costituita. Dopo un anno e mezzo di insistenza e lavoro» racconta Camila.

Occupare lo spazio necessario e di più

Il testo fondamentale della Commissione sul Genere e sulla Diversità del Racing dice molte cose. Tra queste mette in chiaro che esistono necessità e che si devono soddisfatte per camminare nella direzione di uno sport più egualitario, sano, giusto e libero dalla violenza. «Costruire un senso dello sport che ci permetta di pensare a uno sport più giusto, più sano, più egualitario, libero da violenza, libero da violenza per ragioni di genere, lavorare tra tutte le strutture da tutti gli attori, per poter raggiungere un accesso egualitario alla pratica sportiva. Abbiamo bisogno di rompere tra tutte e tutte le barriere che ancora impediscono la continuazione della pratica sportiva di molte persone, principalmente donne. Abbiamo bisogno di fare il massimo sforzo, insieme, per ottenere la partecipazione delle donne nelle commissioni direttive dei nostri club, federazioni, etc […] Per questo è necessario un impegno di tutta la comunità, di tutti quelli che fanno parte delle istituzioni e- perché no – dell’ambito sportivo. […] Abbiamo bisogno che più sportivi si impegnino nell’uguaglianza di genere, che non ci raggiunga solo con il gioco, pensiamo in un Racing Club che va più in là. Per questo abbiamo bisogno di tutti e di tutte, perché è un meccanismo meraviglioso per trasformare vite e se riusciamo a dare uno sguardo da questo posto, sicuramente potremo costruire molto».

In questa proposta avete anche definito un calendario di attività. Come avete selezionato questi eventi?

Camila: L’idea è far partecipare ai tifosi e alle tifose nei giorni più generali, come la Giornata della Madre o del Padre. Per il secondo semestre dell’anno sono previsti altri appuntamenti come la Giornata Internazionale dell’Orgoglio LGBT, la Giornata Nazionale per la Prevenzione del Suicidio, la Giornata Mondiale del Calcio per bambine, la Giornata internazionale contro il Cancro al Seno e la Giornata Mondiale per l’eliminazione della violenza di genere.

Rossana: Anche se abbiamo programmato laboratori, presenzieremo ad alcune cose che succedono di volta in volta. Per esempio abbiamo avuto una riunione con lo staff tecnico della squadra femminile e ci chiedevano come possiamo aiutare la sezione femminile che fa parte dell’aspetto sociale del club e non della SAD. Dunque ci hanno chiesto aiuto per generare risorse finanziarie per ottenere l’abbigliamento femminile invernale delle giocatrici. E anche per collaborare nell’ottenere un sostegno professionale. Ci siamo messe in contatto con un gruppo di donne psicologhe dello sport che ha iniziato a lavorare con le due rose femminili (Under 16 e prima squadra). È stata una richiesta del presidente che aiutassimo la sezione femminile. Gli facemmo vedere che non era un nostro obiettivo, perché c’è una Commissione sociale, ma che se era all’interno delle nostre possibilità l’avremmo fatto. Trovammo per esempio degli elettrodomestici affinché si possa realizzare una lotteria.

Mariana: la parte sportiva non si occupa della squadra femminile, perché non c’è l’obbligo di mantenere una sezione femminile, dato che non era in Prima Divisione. Quando questa situazione cambierà e il Racing sarà promosso, sarà diverso. Lì si che è obbligatorio.

Rossana: spiego che non è stato un reclamo, ma che è stata una forma di aiutare nelle inquietudini che nascono, ma non è stato che ci chiedessero di occuparsi di questo tema. Nella Giornata del Bambino (e della Bambina) parteciperemo alle attività organizzate dalla Commissione Affari Sociali.

Daniela: Sono rammollita dal poter tirare le reti per la parte del calcio femminile, perché le ragazzine sono l’ultima ruota del carro. In questa dirigenza hanno ricevuto un trattamento che non hanno avuto prima. Le giocatrici hanno sempre usato gli indumenti che non erano più utilizzati dalla prima squadra degli uomini e quello delle giovanili. Ora hanno divise nuove. Mi viene voglia di intervenire per aiutare qui. Non è un peso.

Farsi sentire

Abbiamo cominciato una conversazione riguardo alle prospettive del femminismo e dello sport. Ci sono opinioni diverse, la conversazione assume toni più alti. Ci sono pure silenzi brevi che accompagnano il tempo della pausa del pensiero.

Si guardano tra loro, sorridono. “Questa discussione già l’abbiamo fatta” dice Camila che la prima a definirsi femminista, anche Mariana si esprime. Dice di autodefinirsi femminista e che da tempo sta trasformando quello che vuol dire per lei, nel suo modo di comportarsi nella sua vita. Alcuni membri affermano che le più giovani si definiscono prima, ma che per loro il tema delle generazioni segna una differenza. Per esempio Daniela dice. «Aderiscono alla lotta per la causa ma non so se con un’etichetta».

Che diresti della causa?

Daniela: le donne nel calcio. Vado da solo o con mia figlia a vedere il Racing e non succede nulla. È qualcosa che succede abitualmente. Urlare allo stadio e il fatto che non sia da uomo. Cercare l’uguaglianza sul campo. Non condivido l’etichetta, ma voglio che questa uguaglianza chiara in rapporto all’uomo in tutti gli spazi.

Rossana: Sono sempre andata allo stadio da sola. Ho sempre saputo che la gente pensava fossi alla ricerca di qualcosa di più, un giocatore, un tifoso, un uomo. Io ero tifosa, ma mi dicevano e mi facevano sentire così. Ti sto dicendo che questo mi è successo fino a poco tempo fa. L’ho vissuto da ragazzina, da giovane e da donna. Adesso non mi succede più. L’ho vissuto dalla mia adolescenza e dalla mia gioventù. In un momento provavo vergogna e non mi passava, perché non lo volevo. Adesso non mi interessa cosa pensano.

Mariana: io sono sempre andata allo stadio con mio padre. Da molti anni mio padre non viene – è morto – vado da sola. E mi è successo, visto che arrivo presto, che mi chiedano chi venga a vedere, se sono la fidanzata di qualche giocatore. MI è costato rendermene conto. Non sapevo nemmeno cosa rispondere in quel momento, ma dopo ci pensai e per dire qualcosa, perché ti fa arrabbiare. Non mi sono limitata ad andare allo stadio, però non mi è mai piaciuto che me lo chiedano.

Daniela: Faccio molta fatica. L’altra volta siamo usciti per vendere biglietti per la lotteria, perché avevamo appena formato la commissione e avevamo bisogno di qualcosa per sostenere gli incontri e ci siamo ritrovati con gente che ci diceva di no e neppure alzava la testa per prendere il biglietto. Sono dell’idea di predicare attraverso l’esempio. Continuiamo a bussare alle porte, c…., ci faremo sentire. È lo stesso con la SAD, non è simile a noi. Non mi interessa. Continuiamo a fare cose e mostreremo quello di cui siamo capaci con il lavoro e da questo posto. Questo aprirà strade e fa vedere ad altre persone che vogliono unirsi.

Che temi vi preoccupano e credete che siano i più urgenti da trattare all’interno del club?

Camila: Cominciare a dare visibilità al ruolo della donna all’interno dell’organizzazione sportiva, che non siamo sempre impiegate amministrative o donne delle pulizie. Il Racing ha Florencia Lemus, la prima preparatrice atletica del calcio professionistico uruguaiano. Che ci siano donne tra i dirigenti.

Mariana: Oltre a sradicare la violenza fisica nel club, a noi interessa lavorare sulla violenza verbale. Tutti gli insulti che si dicono sul campo fanno riferimento alla donna. Ogni volta che questo succede sono molto preoccupata, perché ho sentito grida come “vai a giocare con le bambole”.

Daniela: Il calcio è una passione. Quando uno è sul campo, è su quella palla, in quella giocata, in quel corner. Tu sei seduta nella tribuna, ma stai qui. A volte vengono fuori cose che non si spiegano. Mio papà che ha 76 anni non ce la fa a vedere le partite, a volte deve andare a dormire. È chiaro che non va bene, ma allo stesso tempo ci mette qui, in questo posto. Se non lo sentissimo, non staremmo in questa commissione, un martedì sera in una riunione.

Camila: Il calcio è il nostro psicologo. Veniamo a sfogarci molto e lo spazio è grande per farlo.

Maria: È possibile che possiamo arrivare ad aspettarci quello che succede nel tennis [ridono, scherzano sull’idea], dove non ci questi insulti e queste forme.

Rossana: È che dove una donna le dice a un uomo che non insulti in tribuna. Non siamo pronti per questo, perché tiri giù tutto il rosario, perdi la partita e tutto questo. È un tema. Non si autoregola, perché finirai amareggiato se intervieni negli insulti

Camila: il Racing ha redatto un “Protocollo di intervento per situazioni di violenza”, ma bisogna continuare a inserirlo nella situazione attuale del club, da quando è diventata una SAD. Per esempio per invitare un giocatore o un membro dello staff tecnico a partecipare al compleanno del Racing, prima si deve inviare una lettera formale alla SAD e vedere se approvano la partecipazione. C’è una linea molto sottile che è la seguente. Se pubblichiamo un evento con iscrizione sui social network e un giocatore lo vede e viene all’attività può farlo. Questo non sarebbe un problema. Quello che non possiamo fare è convocarli direttamente.

Nasce una conversazione in cui alcuni sostengono che bisognerebbe vedere se i giocatori si muovono in queste condizioni per partecipare ad eventi, perché questi paletti e forme di agire possono avere delle conseguenze. Alcuni sostengono che questa decisione dipenderà da quanto siano coinvolti nelle cause i calciatori della rosa. Anche se questo provoca differenti opinioni, tutti sono d’accordo sul fatto che il giocatore partecipi con una certa riluttanza.

La dirigenza della SAD ha preso la decisione drastica di non cedere né luogo né spazio di allenamento per qualcosa che non sia di carattere sportivo, perché secondo quanto raccontano i membri della commissione, ci fu un’attività con famiglia di desaparecidos, realizzata nel luogo d’allenamento e questo non è piaciuto alle autorità della SAD. Dopo questo evento si sono ridotte le possibilità e la commissione ha dovuto riorganizzare il calendario delle attività

Ancora così e con una convocazione aperta a tutti, a luglio si è svolta un’attività sul genere e sulla violenza nello sport, a carico dell’Assessorato per l’uguaglianza di genere dell’amministrazione comunale di Montevideo.

La commissione ha chiarito che si cerca di unire il club e i suoi membri, non si cerca un confronto. La commissione, come organo del direttivo, può accompagnare il club e fare commenti sulla parte sportiva, ma non può intervenire sui casi singoli. Alcune delle idee che sono dentro la proposta sono realizzare laboratori con adolescenti, trattare temi come la diversità sessuale, la violenza nello sport e le paternità in età adolescenziale.

Sguardo a lungo termine

Come vogliono vedere il Racing tra qualche anno?

Rossana: Vorrei fosse una famiglia, unire il club. Voglio che smettano di guardarci come animaletti strani che destano sospetti. Che si capisca che veniamo a dare una mano, che il club è di tutti e non della SAD o della dirigenza. Stiamo nell’occhio del ciclone, perché siamo in commissione e ti fanno domande in tono ironico. Non c’è niente di meglio che mostrare il lavoro. Io non rispondo quando mi succedono queste cose.

Rossana impersona una conversazione che per lei è abituale, con lo scopo di mostrarci a tutte di cosa sta parlando. Si drizza sulla sedia e la sua voce assume un tono ironico, con lentezza dice. «Non ho nessun problema con te, ma cos’è una commissione di genere? Che deve fare? Questo è una società di calcio, qui bisogna metterci le palle. E tu? Che fai aggiungendoti a questa qui?» Quando finisce la parodia ce la ridiamo. Qualche volta a noi è successo qualcosa di simile. Forse da queste esperienze che portiamo nel corpo, prima di averle pensate.

Valentina: Conosco molte persone nella sezione femminile che si sentono escluse. Non hanno un posto dove allenarsi. Voglio che le donne siano incluse nel calcio, anche con un piccolo ruolo nel mondo. Credo che per le nuove generazioni sia diverso, ma capisco che a una persona anziana colpisca il fatto che io sia qui e che io non stia cercando nessuno. Spiego il perché della mia lotta e mi interessa appoggiare alle persone che sono in situazioni di svantaggio.

Daniela: Ci stanno succedendo cose molto belle come commissione. Ognuna, a partire dalle nostre differenze, può celebrare alcune delle cose che abbiamo ottenuto: in una partita abbiamo raccolto alcuni piccoli fondi della commissione. Molte persone ci hanno seguito con allegria. Voglio mettere il Racing in una posizione importante sotto il profilo sportivo e sociale, in un luogo sublime, dove deve essere.

Camila: sono dell’idea di decostruire le virilità. Se un giocatore vuole esprimere la sua sessualità e i suoi gusti, che non lo si faccia notare. Voglio venire al campo in pantaloncini e che nessuno mi dica niente per questo. Dimostrare che le donne non sono l’ultima ruota del carro. Che noi donne abbiamo lo stesso spazio degli uomini. Che sia equo.

Mariana: Mi piacerebbe vedere più donne in ruoli collegati al calcio e anche più donne in campo (dentro e fuori). Oltre a realizzare l’uguaglianza, che si capisca che tutto quello che abbiamo vissuto come donne è molto difficile da spiegare e trasmettere (gli insulti per strada, stare in campo, non poter parlare di calcio perché si è donne) e che a un uomo questo non succede. Gli manca l’esperienza di tutto questo vissuto.